www.avvenire.it 01/17/2013
Le pagine del passaporto e dei documenti del motorino scorrono lentamente tra le dita di David Keita, ufficiale della gendarmeria di Koro, cittadina maliana a 30 chilometri dal confine con il nord del Burkina Faso. I suoi occhiali nerissimi nascondono un’espressione molto perplessa. Che cosa ci fa un italiano in una zona come questa in un momento come questo?
Da quando la Francia ha iniziato a bombardare, non solo al Nord, ma anche a Sud del Mali, come il villaggio di Diabaly nella provincia meridionale di Segou, Keita ha visto più volte i Mirage 2000 e F1CR passargli sopra la testa. Inoltre, pochi giorni fa, i caccia francesi hanno colpito duramente Douentza, una cittadina a circa 70 chilometri più a nord di Koro che brulica ancora di ribelli jihadisti.
Keita non sembra quindi convinto che la ragione di questa strana visita sia semplicemente personale: la ricerca di una lontana cugina maliana. Dopo aver scritto parola per parola tutte le risposte alle sue numerose domande, il gendarme decide di consultarsi con i suoi colleghi e sparisce per due ore. «Qui vicino c’è un albergo dove forse hanno qualcosa da mangiare», dice prima di congedarsi.
Koro è una città fantasma. Per le strade non si vede quasi nessuno. Il mercato è praticamente vuoto. «Se riesco provo a procurarle un po’ di carne», spiega un giovane di nome Salim, disoccupato e desideroso di guadagnare qualcosa. «Da quando è iniziata la guerra il riso è finito, e non c’è altro che della carne». Salim si presenta mezz’ora dopo con qualche pezzo di manzo ancora crudo avvolto in un foglio di carta. «Siamo contenti che i francesi stiano lottando contro i militanti islamici – spiega un ufficiale di polizia che preferisce non rivelare il suo nome –, però i bombardamenti stanno impedendo i movimenti per i commercianti, e la popolazione comincia a risentirne». Dioncounda Traorè, il presidente maliano, ha decretato lo Stato d’emergenza vietando qualsiasi movimento nella provincia centrale di Mopti, a discapito non solo dei cittadini maliani, ma anche dei giornalisti. Il conflitto in Mali è definito dalla stampa «una guerra senza immagini». «I francesi ne stanno approfittando per fare propaganda», afferma sempre sotto anonimato un ufficiale della dogana di Koro. «Ci dicono che hanno ucciso 100 militanti islamici senza darci il numero di morti tra i civili. Ma come fanno i loro caccia – conclude la fonte – a distinguere nella notte un militante da un comune cittadino?"
Mauritania, Algeria e Niger, confinanti con il nord del Mali, hanno ufficialmente chiuso le frontiere. Solo il Burkina Faso ha deciso di tenere aperti i suoi confini attraverso i quali ha spedito 500 soldati per aiutare le Forze maliane. «Abbiamo però paura di quello che sta succedendo a pochi chilometri da noi – afferma Assètou Ouedraogo, insegnante in una scuola elementare di Ouahigouya, nel nord del Paese –. Tra i rifugiati che stiamo accogliendo potrebbero facilmente nascondersi dei ribelli».
Sono centinaia i nuovi profughi che stanno scappando dalle bombe per riversarsi in Burkina Faso. E la situazione è destinata a peggiorare. «Vi ordino di lasciare il territorio maliano immediatamente», riprende con autorità l’ufficiale Keita dopo essersi nuovamente seduto dietro il suo tavolo per riconsegnare i documenti. «Seguirò personalmente il suo motorino fino all’uscita di Koro». Sembra che non ci sia altro modo per convincere il gendarme a lasciare libero il passaggio. Il nord maliano, fino a pochi anni fa una delle più affascinanti mete turistiche dell’Africa occidentale, è ora inaccessibile.
Matteo Fraschini Koffi