www.avvenire.it 02/05/2013
I presidenti di oltre 150 circoli Arci dell’area fiorentina sabato hanno consegnato simbolicamente le chiavi delle strutture al prefetto del capoluogo toscano per protestare contro la disciplina 2012 dell’Imu che equipara, come hanno spiegato, «circoli e Case del popolo agli esercizi commerciali». Nel corso del presidio è stato spiegato che le norme dell’Imu hanno fatto sì che le cifre della tassa decuplicassero rispetto a quelle dell’Ici. «Avanti di questo passo non ci resterà che chiudere», hanno detto alcuni dei presidenti Arci. La protesta è emblematica. Perché le nuove norme Imu sono state varate in seguito alla pressante campagna "laicista" orchestrata per far pagare le strutture della Chiesa cattolica, senza considerare che l’imposta avrebbe colpito tutto il non profit per una semplice ragione: che non vi era alcuna norma che esentava la Chiesa in quanto tale, ma solo una legge che esentava gli immobili di enti e associazioni nei quali si svolgono attività non profit di rilevanza sociale. Sull’argomento abbiamo intervistato Paolo Beni, presidente Arci nazionale.
Paolo Beni, presidente dell’Arci, perché il grido d’allarme contro l’Imu dei Circoli e delle Case del Popolo in Toscana?
Con l’iniziativa di sabato a Firenze abbiamo voluto richiamare l’attenzione su una contraddizione evidente: immobili dove si svolgono attività associative in forma volontaria e di alto valore sociale devono pagare cifre insostenibili. Fatti i conteggi, è emerso un quadro disastroso, la situazione sta diventando veramente esplosiva.
Scusi, ma per mesi questo giornale è stata l’unica voce a scrivere che la Chiesa non aveva alcun privilegio, che le esenzioni riguardavano solo le attività di rilevanza sociale di tutto il non profit, e che alla fine della campagna contro la Chiesa tutto il non profit ne avrebbe fatto le spese. Dove eravate?
Come Arci la nostra posizione l’abbiamo sempre sostenuta con chiarezza, anche all’interno del Forum Terzo settore. Il fatto è che sulla questione in Italia c’è stata una discussione confusa e viziata da un approccio ideologico. I mezzi di informazione non hanno favorito la chiarezza ed è passata l’idea che la questione Ici/Imu riguardasse solo la Chiesa cattolica. Le esenzioni erano concesse ad attività di rilevanza sociale, che fossero laiche o cattoliche. Ma noi abbiamo sempre detto anche un’altra cosa.
Quale?
Che non è giusto esentare solo gli enti non profit proprietari degli immobili, ma che l’esenzione andrebbe concessa in base all’uso del fabbricato, anche quando il proprietario è un altro, ma concede a un’associazione lo stabile in comodato gratuito o con affitto agevolato.
Non negherà che a sinistra molti hanno cavalcato la campagna Imu-Chiesa, ma quasi nessuno ha capito che la questione riguardava tutto il sociale, anche laico. Distacco dalla realtà?
La questione è stata amplificata in modo superficiale, è stata presentata erroneamente come Chiesa sì o Chiesa no, e si è fatta molta confusione. Nell’opinione pubblica vi è una visione superficiale di quello che sono il volontariato e il privato sociale, mentre servirebbe una conoscenza più puntuale di questo mondo e una maggiore attenzione al valore sociale che esprime. È anche colpa della confusione normativa. Sarebbe ora di fare chiarezza per dare forza e visibilità alla società quando si auto organizza. Il non profit ha fatto passi in avanti nella capacità di rappresentarsi, forse è il momento di fare di più per rendere visibile e riconoscibile la qualità sociale di queste realtà.
Eppure gli attacchi al non profit, quando è cattolico, non arrivano solo da ambienti ultraliberisti e radicali, ma anche dal fronte politico che più dovrebbe avere a cuore l’esistenza di un’economia civile e di reti di solidarietà. O no?
Sia nel mondo dell’impegno sociale riconducibile all’esperienza laico-socialista che in quella cattolico-popolare ci sono realtà che nella loro diversità sono assolutamente in grado di valorizzare una base culturale comune, che parla di valori come la centralità della persona, di rispetto della dignità e dei diritti, di partecipazione, solidarietà, di giustizia sociale. La contrapposizione non dovrebbe essere tra laici e cattolici, ma tra chi ha un’idea di società nella quale è il mercato a orientare ogni cosa, e dove a decidere è il più forte o il profitto fine a se stesso, e chi invece vede una società fondata sulla cooperazione tra individui e in quello che rappresenta il Terzo settore. È vero: c’è da fare una grande battaglia culturale.
Massimo Calvi