www.avvenire.it 11/28/2012
«Vi ringrazio perché credete che il nostro riscatto è possibile». È emozionato Massimo Boccolieri, 37 anni, detenuto, della Sacra corona unita. Al microfono non riesce a dire di più ma le sue parole hanno un forte significato. Siamo nel carcere di massima sicurezza di Carinola, alto Casertano, circa quattrocento detenuti, 118 ergastolani, gli altri con condanne pesantissime, mafia, camorra, ’ndrangheta, terrorismo, traffico di droga. Alte mura, cancelli dopo cancelli, sorveglianza strettissima. Eppure oggi da queste mura esce «un messaggio di speranza e di legalità che parte dal carcere e va sul territorio. Perché il carcere è come un ospedale nel quale si può e si deve guarire», spiega la direttrice Carmen Campi. Carcere e società civile insieme. Due progetti, uno di dialogo attraverso il concorso letterario "A cuore aperto" indirizzato ai detenuti (vedi altro articolo) e l’altro per creare lavoro anche qui, economia sociale, con la coltivazione di 35mila metri quadri di terreno e la nascita di un piccolo, ma di alta qualità, birrificio artigianale. Progetto "Campus felix". Occasione di incontro.
La grande sala-teatro è piena della tante realtà che in questi anni hanno dato vita all’altro "modello casertano", dopo quello vincente della repressione, il modello dell’antimafia sociale. Ci sono tutti, dal Comitato don Peppe Diana a FormaAzione Viaggio, da Libera Caserta alle cooperative che operano sui beni confiscati, ci sono anche alcuni familiari delle vittime della camorra, l’associazione antiracket Mimmo Noviello, l’università Federico II. Assieme a un gruppo di carcerati. «Da anni abbiamo aperto un dialogo col nostro territorio, abbiamo parlato e collaborato con tutti. Ora vogliamo dialogare e collaborare anche coi detenuti», spiega Francesco Diana, del Comitato don Diana. E racconta il primo incontro nel carcere di Carinola. «Ho detto "Ma vi rendete conto di quello che avete fatto? Voi ci avete rovinato". Uno di loro mi ha risposto: "Hai ragione. Io sono qui da 15 anni. Se vuoi aiutarmi devi dire che qui non ci sono solo mostri. C’è chi è cambiato. Ci date una mano?". E noi – aggiunge Francesco – abbiamo deciso di fare qualcosa con loro. Vogliamo abbattere questi muri per scalfire la forza del potere criminale. Per annunciare la speranza. È un dovere morale. Lo dobbiamo a chi ha pagato, alle tante vittime. Lo dobbiamo a questa nostra terra che malgrado sia stata violentata dà ancora buoni frutti. Il terreno fertile c’è e non solo quello fisico».
Nasce così l’idea di agricoltura biologica sui terreni del carcere mai utilizzati. Per «promuovere economia sociale in carcere e dare un ruolo attivo ai detenuti – spiega Alessandra Tommasino della cooperativa Carla Laudente –. Lo abbiamo già fatto coi beni confiscati che sono stati restituiti alla comunità. Ora lo vogliamo fare anche con le persone, quelle che hanno sbagliato. Anche loro devono essere restituite alla comunità. Per contrapporre la logica dell’amore a quella del malaffare». Partirà così tra poco un corso di agricoltura biologica, «per offrire un’opportunità, la nostra spalla, il nostro cuore», spiega Salvatore Cuoci che seguirà questa prima fase. Poi sul campo per coltivare prodotti locali e anche la materia prima (orzo e luppolo) per la produzione artigianale di birra. Una birra della legalità, dall’alto valore aggiunto e a chilometro zero. Consulenti, i giovani della cooperativa Pausacaffè di Torino che dal 2008 hanno aperto un birrificio nel carcere di Saluzzo. Un’ottima birra, venduta anche in Usa, Giappone e Norvegia. «Non è solo buona per come la facciamo – sottolinea Andrea Bertola – ma perché dentro ci siamo noi». Un augurio per l’esperienza che sta per nascere a Carinola: «Che possa partire a tutta birra».
Una birra che il prossimo anno troverà posto nel "Pacco alla camorra", la bella scatola che contiene i prodotti delle cooperative che gestiscono beni confiscati e da quest’anno anche quelli degli imprenditori "no racket". Lo annuncia Peppe Pagano, della Nuova cucina organizzata. «Ci sono tutte le condizioni per riprenderci la nostra terra, la nostra dignità. Non ci sono più alibi. Chi è indifferente se ne vada!». Davvero, come sottolinea Valerio Taglione, scout di don Peppe Diana e responsabile di Libera Caserta, «oggi è una giornata particolare, da qui diciamo che si può cambiare il destino di questo territorio. Facendo un passo in più, dando un segno di speranza anche dal carcere per costruire insieme un percorso in cui ognuno deve fare la sua parte».